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Anno 1979Ho iniziato a scrivere questo libro nell'anno 1979 e per me rappresenta un po' la mia storia, i miei interessi, le mie ambizioni, i miei desideri, il mio modo di vedere le cose, che certamente era pessimista, anzi "molto pessimista", difatti si nota molto quest'aspetto nel libro, dove tutto va male, dove tutto non va secondo i desideri del personaggio principale. Certamente tutti i luoghi e le storie sono inventate come pure i personaggi, voglio dire che non mi sono accadute realmente tutte le cose narrate, ma certamente rispecchia il mio modo di pensare di allora. Avrei
pensato di pubblicarlo un po' alla volta, se pensate che l'idea sia
buona, sia quella di pubblicarlo a pezzi e sia quella se ne valga la
pena di pubblicarlo andate nella pagina
commenti ed esprimete un vostro parere. |
UN RAGAZZO SOLO“Aiuto Joe, aiuto”. Era il grido straziante di Marta la moglie di Joe, la quale si trovava in un inferno di fuoco con le fiamme che superavano la sua altezza. L’incendio era stato causato da una grave perdita dai fornelli della cucina, il gas si era sparso per tutta la casa e quando la signora Marta aveva acceso la luce, la scintilla aveva causato un gran boato facendo saltare i mobili che s’incendiarono. Dalla strada i passanti osservavano le fiamme rossastre che uscivano dalla finestra del primo piano della famiglia Fenton. Una famiglia composta da Joe Fenton, il capo famiglia, da Marta Hardings, moglie di Joe, e da un ragazzo di 13 anni che ora si trovava in Scozia, in campeggio. Mentre si svolgeva questa straziante scena si sentì la sirena della macchina dei vigili del fuoco, tutti fecero largo per dar spazio sufficiente alla macchina, arrivati sotto la finestra, da dove usciva un fumo nerastro, prepararono la scala mobile per farvi salire un vigile. Subito raggiunse la finestra e vi entrò. Camminava tastoni per cercare di raggiungere la figura slanciata della signora Marta che barcollava tra le altissime fiamme. Raggiuntala, la prese e s’incamminò verso la scala, arrivatoci vi scese subito e la posò sulla barella che era stata già preparata. Il marito si trovava intanto dal vicino a giocare a carte e subito aveva riconosciuto il grido di sua moglie, aveva posato le carte sul tavolo e si era precipitato giù per le scale per andare a vedere sua moglie. Uscito dal portone si bloccò, vedendo quello che stava accadendo alla sua casa, ma subito dopo un grido di dolore gli sfuggì dalle labbra, pensando a sua moglie, e così riprese la corsa con più lena, avendo in corpo un sentimento misto di paura e d’angoscia, e senza frenare l’impeto della sua corsa penetrò in casa. Una scena terrificante si offrì ai suoi occhi, vide sua moglie mentre era messa in un’ambulanza. Preso dal timore di non rivederla più viva, scese le scale di corsa, ma non si avvide di non mettere il piede sullo scalino rotto, e così rotolò giù con un rantolo pauroso assorbendo l’impatto con la parte più delicata della testa: la tempia, morendo sul colpo. Intanto la signora Marta era stata portata all’ospedale più vicino di Treville, aveva riportato gravi ustioni ed i medici per un paio di giorni stentavano nel salvarla. Il marito era stato raccolto da un vigile del fuoco che gli era corso dietro e lo aveva messo nell’ambulanza. Erano trascorsi sette giorni dall’accaduto ed era stato avvisato anche Louis, il quale si era recato subito all’ospedale di Treville; arrivatoci riconobbe a stento sua madre tali le ustioni, ella vedendolo gli domandò: “Dov’è papà?”. Louis più stupito che angosciato si domandò il perché di quella domanda, ma gli occhi interrogativi di sua madre non gli diedero il tempo di riflettere e così rispose: “E’ morto nel tentativo di salvarti!”a questa parola Marta Hardings, accecata dal rimorso di aver ucciso, anche se involontariamente, suo marito lasciò cadere il capo sul cuscino, chiuse gli occhi e spirò. … … … … … … … … Un palazzo con la scritta “COLLEGGIO PER ORFANI”, con molte ampie finestre, dalle quali si godeva la vista del mare a destra e la vista dei monti pieni di vegetazione a sinistra. Prima di entrare nell’edificio bisognava attraversare un viottolo che si apriva nel mezzo di un prato il quale era ornato qua e la con qualche fiore variopinto. L’entrata era costituita da un portone gigantesco sormontato dalla scritta di cui prima, attraverso il quale si entrava in un grande salone, le cui pareti erano dipinte con un rosso fiamma che metteva in risalto i quadri di scolaresche che erano ad esse appesi. Louis era accompagnato da una vicina di casa e mentre attraversava il viottolo, dato il suo stato d’animo, fu colpito molto dal colore dei fiori variopinti che erano sul prato i quali sembravano invitarlo a sedersi su di esso e guardare gli uccelli che svolazzavano nell’azzurro del cielo, dimenticando così le malvagità della vita. Fu distolto dai suoi pensieri dalla voce della signora che lo incitava a continuare il cammino verso l’entrata del collegio. Arrivatoci, la signora tirò la cordicella della campana a destra del portone. Venne ad aprire una vecchietta dalla faccia simpatica ma segnata dagli anni, di statura molto piccola, era sulla ottantina. Dopo i dovuti saluti, la signora spiegò tutto alla suora ed ella incoraggiò il ragazzo con parole dolci, dicendogli che sicuramente si sarebbe trovato bene stando con tanti ragazzi della sua stessa età. Louis sempre più triste e silenzioso guardava il lampadario che era appeso al soffitto proprio sopra la sua testa e ne stava contando le lampadine. I primi giorni di soggiorno di Louis al collegio furono molto lunghi da passare, i minuti sembravano ore e la solitudine era opprimente. Stava sempre affacciato alla finestra della sua camera guardando con tristezza la gioia dei bambini che si rincorrevano, giocavano a pallone, guardava le ragazze che formavano crocchi e parlavano allegramente, gli sembravano delle ochette. Di giorno quando non stava affacciato alla finestra stava steso sul letto e guardava incessantemente il soffitto con occhi tristi. Le pareti della stanza gli sembravano senza vita ed anche i quadri di paesaggi splendenti il sole, appesi al muro, non avevano significato. Quando scendeva nel refettorio era sempre triste, mangiava senza dir niente, non partecipava alle chiacchiere dei ragazzi. Le suore comprendendo il suo stato d’animo lo lasciavano fare, finché un giorno, dopo aver trascorso molte settimane in assoluta solitudine, un ragazzo gli si avvicinò e gli chiese: “Come ti chiami?”
“Mi chiamo Louis, Louis Fenton.” Da quel giorno Louis giocò sempre a pallone, facendo delle corse insieme ai suoi nuovi amici. Non restava più delle ore intere affacciato alla finestra della sua cameretta, mangiava con più appetito e la sera guardava anche la televisione insieme agli altri, e man mano che passava il tempo si affezionava sempre più al suo nuovo amico Joe. Infatti, fece mettere, con il permesso delle suore, il suo lettino nella sua camera, così la sera prima di addormentarsi potevano parlare un po’. Un giorno si svegliò con il suono delle campane della chiesa poco distante che gli risuonava nelle orecchie più gradevole del solito, con un raggio di sole che penetrava nella stanza dalla piccola ma graziosa finestra, il quale rivestiva di allegria l’atmosfera. Entrambi si svegliarono con una fame da lupo, si vestirono e scesero le scale di corsa, stando attenti a dove mettevano i piedi, per andare ad occupare i loro posti a tavola dove vi erano già tutti. Si sedettero ed incominciarono a mangiare. Le suore stavano servendo la colazione con cioccolata calda e biscotti ed anch’esse erano più allegre del solito. Louis più stupito che mai domandò al suo amico Bob, che gli sedeva accanto: “Ma a che cosa è dovuta tutta questa allegria?” Bob gli rispose: “Non lo so, ma cosa strana stamattina tutti si sentono euforici, tutti ridono, hanno già finito la colazione.” E con un sospiro che denotava la sua sorpresa esclamò: “Chi lo sa?!”. Ci fu un momento di pausa poi riprese: “Anche nelle suore vi è qualcosa di insolito!” e riprese a mangiare. Louis restò come preso da una profonda riflessione poi esclamò, rivolgendosi al suo amico Bob: “Strano, anch’io ho notato tutto questo!” Quasi per soddisfare la loro curiosità e per dare un senso a quell’allegria scoppiata così, all’improvviso, senza nessuna ragione apparente, una delle suore invitò i ragazzi al più assoluto silenzio. I ragazzi quasi avessero letto nella mente delle suore, la sera prima, un qualcosa di non ben definito. Infatti, la suora dopo aver ottenuto il dovuto silenzio incominciò a parlare dicendo: “Cari ragazzi, domani dovremmo alzarci un po’ prima, perché andremo a fare una gita sulle terre italiane. Avremo dieci giorni per visitarle, quindi dovrete portarvi indumenti sufficienti, al cibo ci penseremo noi. Tra le città che visiteremo ci saranno Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli, logicamente ad ogni città visiteremo un monumento e qualche industria. A Torino, per esempio, visiteremo la F.I.A.T. E LA CATTEDRALE RINASCIMENTALE, A Milano il Duomo e la Basilica di san Lorenzo, a Venezia la Chiesa della S. Fosca del Carso e la SS. Maria e Donato Murano, a Bologna il Palazzo del Podestà, a Firenze la Chiesa di S. Maria Novella, a Roma il Vaticano ed infine saremo a Napoli, dove visiteremo Castel dell’Ovo. Inutile dire che chi ha intenzione di portarsi un blocco su cui scriverci qualche notizia utile fornita dal cicerone, può farlo.” Quella fu una giornata di intensi preparativi per la partenza e la sera non videro nemmeno il programma televisivo per essere più freschi il mattino seguente. … … … … … … … … A questo punto credo vi sia bisogno di una precisazione. Fino a adesso Louis Fenton è vissuto quasi nell’oscurità, senza una precisa presentazione del suo carattere e della sua costituzione fisica. Orbene, rimedio subito, però vorrei andare ancora un po’ avanti nel racconto del libro dicendo che la giornata seguente fu una giornata molto lieta e gradita per Louis, fu, in effetti, la giornata chiarificatrice dei suoi progetti una volta uscito dal collegio. Comunque Louis era un ragazzo molto intelligente e molto proficuo a scuola, che ora aveva abbandonato, aveva un corpo muscoloso che quasi non gli si addiceva per un ragazzo molto studioso. Aveva capelli neri tutti tirati all’indietro la faccia piena di acne giovanili, la sua altezza era quella media dei ragazzi della sua età (13 anni), amava molto leggere specialmente libri gialli e amava anche praticare molto sport insieme agli amici, dedicando gran parte del suo tempo libero alle arti marziali. Dopo questa lauta presentazione possiamo passare alla narrazione del libro. La mattina seguente tutti pronti e scattanti erano schierati giù nel cortile del collegio. Salirono sui pulmans e dopo che tutti erano ai propri posti il conducente avvio il motore e partirono dirigendosi verso l’Italia e precisamente: Torino. Come già ho detto fu una giornata molto gioiosa per tutti i ragazzi del collegio ma per Louis non fu bella e divertente, egli amava muoversi, darsi da fare e invece doveva restare lì ad ascoltare le parole del cicerone. Ma egli non lo ascoltava, non partecipava a quella gita tanto ben organizzata, e quelle allegre scorazzate che le suore permettevano sui lunghi prati delle terre italiane. Louis dava ogni tanto uno sguardo a quei fiori variopinti che si dondolavano sotto il lieve venticello che spirava sul verde del prato e pensava ancora a quello che gli era capitato qualche mese fa, pensava al padre che era morto così brutalmente, e la madre, che era morta quasi per colpa sua; guardava il suo amico Joe che gli stava avanti, lo guardava con occhi strani, con occhi che vedevano il padre in lui nel suo modo di camminare, nel suo modo di parlare, nel suo modo di fare. Questi pensieri erano però ostacolati dall’idea della libertà che un giorno avrebbe acquistato una volta uscito da collegio, il quale per quanto accogliente potesse essere non poteva dare quella soddisfazione particolare di quando si è liberi, liberi di disporre di se stessi. Mentre era immerso fino al collo in questi pensieri fu distolto da una voce che lo chiamava; sembrava venisse da lontano, quasi dall’oltretomba, aveva una vaga rassomiglianza con una voce che conosceva bene, molto bene, non voleva crederci ma sembrava quasi quella di suo padre, si fermò e gli apparve una figura lontana, offuscata da una leggera nebbiolina che lo rendeva trasparente, man mano che si avvicinava la figura si faceva sempre più distinta, più distinta ancora, sembrava potesse toccarla, allargò le braccia, speranzoso, e strinse fra di esse quella figura indistinta, ma appena ebbe il contatto corporeo, si accorse di aver abbracciato il corpo del suo migliore amico, Joe, che lo stava chiamando da lontano.
Joe, sorpreso dal comportamento di Louis gli domandò: “APPARTENUTO AL RE DI QUESTO IMPERO…” E poi vi era incisa una data di cui non si capiva bene l’anno. Mentre stavano osservando quello oggetto trovato da Joe in un fossato abbastanza profondo, passò la comitiva di ragazzi che si era unita a loro; i vari componenti ridevano e scherzavano senza pensare a niente e si divertivano, cosa che Louis amava molto fare e che non poteva e non riusciva. … … … … … … … … L’inizio del terzo mese di soggiorno di Louis nel collegio fu molto triste e così trascorsero gli altri anni finché non raggiunse l’età di diciotto anni per uscire liberamente dal collegio. Anche se questi cinque anni Louis li aveva trascorsi tristemente si era affezionato alle suore ed ai suoi amici e quindi non fu molto facile andarsene, dappertutto vi erano facce dipinte da un velo di tristezza. Erano le otto di una fredda mattina d’inverno del 13 dicembre e per la strada non vi era nessuno tranne quei pochi passanti che si recavano al lavoro, tutti infreddoliti, incappucciati con l’ombrello in mano che li riparava dalla fitta pioggerellina che cadeva su tutta la città. Tutto questo, sembra volesse proteggere i viandanti, perché l’insieme aveva tutta l’aria di un guscio di tenerezza e di fortezza che si era calato su tutti tranne su lui, ormai tutto sembrava programmato, tutto già stabilito, sembrava che per lui non vi fosse più posto nella società. Nonostante tutto Louis si fece coraggio e si incamminò per quella strada senza sapere dove andasse; camminò per circa quattro ore senza mai fermarsi. Ormai erano le dodici e la fame si faceva sentire, non sapendo come fare si diresse verso una salumeria per comprare un panino, ma sentì una voce che lo chiamava, si voltò e riconobbe la signora Lucy Shead colei che lo aveva accompagnato al collegio, si diresse verso la finestra e la signora gli chiese: “Da dove sbuchi vecchio diavolo?” “Sono uscito adesso dal collegio e stavo camminando per le strade in cerca di una salumeria per mangiare qualcosa”. “Ma non c’è bisogno che cerchi una salumeria, ci sono qui io per prepararti qualcosa, su sali, stavamo appunto pranzando.” “Grazie signora, accetto volentieri il vostro invito.” “Faccio scendere mia figlia ad aprirti il portone.” “Sì grazie.” Mentre si dirigeva verso il portone della villa vide da lontano la sua villa, voleva andarla a visitare ma non poteva perché doveva aspettare la figlia della signora che gli apriva il portone, allora decise di andarci dopo. Mentre pensava a ciò avvertì un qualcosa di indescrivibile un qualcosa che gli percorreva il corpo, partiva dalla testa e andava fin giù, poi di nuovo su e sembrava come questo qualcosa entrasse dagli occhi…si, ecco, adesso aveva preso forma nella sua mente e nei suoi occhi, era la figura della figlia della signora che gli aveva aperto il portone. “Salve.” Disse la ragazza.
“Ciao.” Rispose Louis ed insieme salirono le scale. “Buongiorno signora”, disse Louis, “lascio un attimo le valigie qua e torno subito, voglio andare a visitare la mia villa, per vedere in che stato stia, dopo l’incendio che ebbe.” “Ma nemmeno per tutto l’oro del mondo tu adesso ti muovi di qui, prima mangi poi ti riposi e poi fai quello che vuoi.” “Dopo ti accompagno io, aggiunse la ragazza, non sapevo che quella villa fosse proprio tua, all’epoca del disastro io ero troppo piccola e non capii bene quello che stava accedendo lì dentro.” Louis senza insistere seguì la signora e la figlia per uno stretto corridoio dove vi erano due quadri, un attaccapanni, un portaombrelli e molti altri gingilli che abbellivano il tutto. Questo stretto e piccolo corridoio immetteva in un lungo salone tappezzato con parati a fiori blu e bianchi, vi erano quattro porte una delle quali immetteva nella sala da pranzo, quella a destra, vi entrarono e Louis trovò una grande tavola imbandita. “Ecco, questo e Louis quel birbantello di cui ti ho parlato poco fa.” “Ah si, adesso ricordo, veniva sempre da noi ad aiutarci nella serra. Allora ti piacevano molto i fiori della mia serra ed ogni giorno venivi qua e li guardavi per ore ed ore. Eh ma adesso ti sei fatto grande, chissà se ti piacciono più?!” “Si, come se non mi piacciono li adoro, anzi se permettete voglio darvi un’occhiata dopo che sono tornato dalla mia villa.” “Si ma figurati; ma dimmi una cosa, adesso quanti anni hai?” “Adesso ne ho diciotto, giusto l’età per uscire dal collegio.” “Ah si, ma dimmi ti interessi più di arti marziali, so che da piccolo frequentavi dei corsi di Karatè da te stesso impiantati?!” “No, purtroppo, in questi cinque anni che ho trascorso in collegio non ho avuto l’occasione di praticare un po’ di sport, mi sarebbe piaciuto continuare nei miei allenamenti.” “Perché adesso non puoi più continuare?” A questo punto la signora Lucy portò la seconda pietanza a tavola e Louis continuò a mangiare con più fame di prima, e tra una forchettata e l’altra rispose: “No, non posso, prima di tutto non ho un locale dove allenarmi e poi non ho un partner con cui allenarmi!” “Bhe allora non è un grave problema, disse il padre di Mary, per quanto riguarda il locale c’è una stanza vuota al piano terra della mia villa, per quanto riguarda il ….” Fu interrotto da Mary che disse: “Per quanto riguarda il partner ci sono io.” Al che Louis si sentì un po’ a disagio di fronte a tanta calorosa accoglienza e non sapeva cosa dire. “Bhe, io non so cosa dirvi, di fronte alla ginnastica io non so dir di no, accetto volentieri il vostro invito sperando che un domani possa ricambiare questa gentilezza che oggi mi avete offerto con tanta semplicità.” “Bene, allora potremo andare a visitare quella stanza vuota stasera stessa.” Sopraggiunse Mary rivolgendosi a Louis che oramai non capiva più niente. Era uscito dal collegio triste e solo ed ora si trovava lì in quella casa, felice e con tre amici sinceri: Mary, Antony e Lucy, una famiglia molto cordiale che non badava all’età e trattava tutti ugualmente. Finito di pranzare Louis disse: ”Allora se permettete vorrei andare alla villa.” “Aspetta vengo anch’io.” Sopraggiunse Mary. Arrivati alla villa uno spettacolo terrificante si offrì ai loro occhi uno spettacolo che penetrò a fondo nell’animo dei due giovani che oramai sembravano fusi in uno. Gli occhi di Mary convergevano sulle due lacrime che scendevano lungo il viso di Louis, che aveva chinato il capo sul cancello della sua villa e stava per piangere. Una villa ben costruita, appoggiate su salde fondamenta, con i muri sempre puliti e il giardino ben tenuto da sua madre, ora era tutto in disordine il giardino non si riconosceva più, i muri lesionati, il tetto sfondato, i viottoli dove una volta si poteva camminare liberamente ora erano resi impraticabili dalle erbacce e dai rami spezzati. Entrarono nella casa e videro tutto bruciato, la scala che portava ai piani superiori era annerita dal fumo, però resisteva ancora al peso dei due giovani. La camera da letto era vuota e le pareti non dicevano più niente senza quei quadri che abbellivano il tutto. Sempre tristi e silenziosi rifecero il cammino e ritornarono a casa. Una volta che furono a casa la signora disse: “Come è andata la visita alla villa Louis, ti vedo così triste!” “E’ andata male signora!” “Bhe, ora non pensarci più.” Esclamò la signora con voce affettuosa e consolatrice. “Mamma dov’è papà?” Domandò Mary dalla cucina. “E’ sceso, torna stasera.” Rispose la madre. “Possiamo andare nella serra?” Domandò Mary mentre ritornava. “Si andate pure.” Si avviarono per il giardino che nonostante la stagione fredda era ben tenuto, gli alberi spogli che di tanto in tanto apparivano sul loro cammino costeggiavano un lungo viottolo che descriveva ampie curve tra le quali erano racchiuse altrettante piccole aiuole, dove erano sistemate alcune panchine. Raggiunsero una costruzione in vetro, era la serra. Vi entrarono e fecero scorrere i loro sguardi sui fiori piantati in quei piccoli fraticelli. I loro sguardi si fermarono su di un fiore che era caduto per terra, Louis si chinò per raccoglierlo, lo prese tra le mani e lo guardò, la guardò, portò di nuovo il suo sguardo sul fiore e la sua mano si tese per porgerglielo, ma un gatto entrò nella serra e si mise accoccolato sotto una grande foglia di una delle piante. Louis senza più pensarci si avvicinò al gatto, lo prese e si avviò fuori seguito da Mary, che appena uscita chiuse subito la porta. Louis depose il gatto a terra e si accorse di avere ancora il fiore in mano, e stupito disse: “Prendilo tu e accettalo come un mio regalo, e come manifestazione di un qualcosa che è ancora precoce esternare.” “Grazie sei molto gentile.” Rispose Mary con aria abbastanza confusa non avendo compreso molto bene quelle parole. Quasi inavvertitamente si trovarono seduti su di una panchina circondati dal verde del prato e dai rami spogli degli alberi. La mente di Louis galoppava a grande velocità pensando all’effetto che avrebbe potuto fare il suo gesto di poco prima; Mary altrettanto, pensava alle parole di Louis e venne alla conclusione che Louis si era probabilmente innamorato di lei. A questo punto il suo viso si rallegrò pensando di avere un altro corteggiatore, ma subito si rattristò pensando al suo amore che sarebbe ritornato a rallegrarle il cuore. Stava quasi per dirgli che se avesse avuto intenzione di farle la dichiarazione la risposta sarebbe stata negativa già da adesso, ma un violento tuono interruppe i loro pensieri. Louis esclamò: “Forse è meglio ritornare dentro, qui tra poco verrà a piovere.” Non finì nemmeno di parlare che incominciò a scendere un torrente di acqua sui loro cappotti; Louis si alzò il bavero del cappotto e Mary fece altrettanto; Mary con voce tremante esclamò: “E adesso come facciamo?!” “Entriamo in quella porta, sempre se è aperta.” Consigliò Louis. “Si è aperta.” Confermò la ragazza. Si misero a correre per il prato bagnato e raggiunsero la porta, vi entrarono e furono colpiti da una forte vampata di calore. Si tolsero i cappotti di dosso e si accorsero che anche gli abiti erano inzuppati; Louis non esitò a togliersi la maglia e la camicia restando a mezzo busto con i pantaloni bagnati, Mary era un po’ esitante ma dopo un po’ le convenne togliersi gli indumenti bagnati da dosso restando anche lei a mezzo busto con quel piccolo seno che si protendeva sotto quell’attillatissimo reggiseno. Louis la osservava mentre eseguiva quei dolci movimenti con le braccia per togliersi la camicetta, Mary lo guardava con una certa paura sperando che Louis si sarebbe comportato degnamente, si guardarono entrambi a lungo, ma poi Louis esclamò: “Si, però qui fa freddo, accendiamo un fuoco con quella legna.” “D’accordo.” Disse Mary. Ed insieme raccolsero della legna, la misero al centro della stanza ed accesero un bel falò. Si sedettero intorno dopo aver steso gli indumenti in terra per farli asciugare. Mentre osservavano quelle fiamme e tra le fiamme loro stessi Louis esclamò: “Lo sai che hai un bel corpicino, sei veramente bellina, ma quanti anni hai?” E si avvicinò a lei. Mary fremendo tutta in corpo e facendo tremare quel suo piccolo seno si scostò dal suo posto dicendo: “Ne ho 16, ma stai al tuo posto.” Louis si avvicinò ancora, lei si scostò ancora, lui insistette e lei con mossa fulminea raccolse i panni e disse: “Si sono asciugati, possiamo andare.” Prese la sua camicetta e se la infilò, Louis restando con un pugno di sabbia nelle mani si vestì anche lui ed uscirono fuori dove il sole era tornato a splendere in cielo. Silenziosamente si avviarono per il viottolo e raggiunsero l’uscio di casa, e fu solo qui che Louis disse: “Ma quella stanza non la vediamo?” “L’abbiamo già vista.” Rispose Mary un po’ innervosita. “Non dirmi che è quella dove abbiamo acceso il fuoco?!” “Si è quella.” Rispose Mary sempre più nervosa. Louis restò stupito e con aria quasi esterrefatta entrò nel salone d’ingresso ed insieme a Mary raggiunse la sala da pranzo dove li aspettava una succulenta cena. I signori Shead stavano ancora a tavola aspettandoli. “Ci dovete scusare se abbiamo fatto tardi, ma come avete potuto vedere è piovuto per più di un ora e quindi abbiamo dovuto rifugiarci in una stanza che poi è risultata quella dove io e Mary dobbiamo allenarci.” A tal punto Mary con occhi irosi gli lanciò un’occhiata poco rassicurante tra le parole del padre che disse: “Ma figurati, non c’è da preoccuparsi.” Ed anche qui i loro sguardi si incrociarono.
Drin, drin, era il suono della sveglia che stava sul suo comodino che fortemente ed acutamente gli penetrò nelle orecchie. Louis cercò tastoni l’interruttore del piccolo lume, lo pigiò ed una forte ed accecante luce illuminò la stanza con gusto arredata, colpendo come una saetta i suoi occhi ancora chiusi dal sonno. Si alzò a fatica e dopo essersi vestito scese in cucina per far colazione. Tra un boccone e l’altro dava uno sguardo qua e là per la stanza e per i corridoi cercando Mary, ma non vedendola domandò alla signora: “Dov’è Mary?” “E’ uscita, ma non mi ha detto dove andava.” “Signora, io scendo a fare quattro passi.” “Va bene.” Le strade erano più movimentate questa mattina, o forse perché erano le 10.00, o forse perché era ormai uscito da quella mentalità chiusa del collegio e quindi rendendosi conto che ormai la sa vita era un’eterna solitudine e si era, quindi, adattato alla situazione. Mentre questi pensieri nostalgici gli rimuginavano nella testa aveva percorso già un bel po’ di Piccadilly Street, quando un ramo lo obbligò a deviare la sua traiettoria permettendogli di scorgere da lontano la figura slanciata di Mary. La distanza che li separava sembrava essere divorata da due folgori e diminuì talmente in fretta che in un attimo si trovarono abbracciati. Fu proprio nel momento in cui i due corpi stavano toccandosi quando si udì una voce dal marciapiede di fronte che chiamava il nome di Mary. Entrambi si voltarono con il cuore che batteva loro forte come un tamburo, Louis là per là non ebbe nessuna reazione nel vedere quella persona che chiamava, ma appena Mary esultò dalla gioia nel rivederla, riconoscendola come il suo ragazzo e con maggior lena attraversò la strada non avvedendosi delle macchine che le sfrecciavano intorno, Louis ebbe come un tonfo al cuore. Era rimasto lì impalato, osservava con distacco la scena del ritrovo di due amanti e fu maggiormente colpito dal comportamento del ragazzo più che quello della ragazza, perché fu un atteggiamento piuttosto freddo. Mary gli si aggrappò al collo e lui con fare indifferente le diede un affrettato bacio sulla bocca, cercando di guardare con la coda dell’occhio un giovanotto che era appoggiato ad un palo poco distante. I due colombelli non avvedendosi della presenza di Louis si avviarono per una strada adiacente a Piccadilly street, mentre colui che era stato guardato dal fidanzato di Mary si avviò dritto, al che non restava altro che ritornare per la propria strada. Durante tutta la giornata Louis senza esclamare nemmeno una sillaba non fece altro che pensare alla scena a cui aveva assistito la mattina. Forse, pensava, vogliono rapirla per estorcere denaro al ricco padre, o 4forse sarà qualcos’altro. Anche per tutta la notte non fece altro che pensare a questo. Ma poi un velo, il velo del sonno lo coprì fino all’indomani. La mattina seguente, di buon ora si alzò, diede uno sguardo dalla finestra e dopo una buona boccata d’aria scese in cucina per fare un’affrettata colazione, si recò poi in palestra. Già vi trovò Mary che aspettava Louis con apprensione già da un pezzo. Vacillò quando Louis la salutò con fare indifferente, sempre ricordando l’episodio del giorno precedente. Ma l’odore della legna bruciata lo rese più mansueto, e così dimenticando un po’ tutto iniziò l’allenamento con molta foga. Durante tutto l’allenamento sembrava un po’ distratto, pensava alla sua vita, a che significato poteva avere la sua vita in solitudine. Stava effettuando uno strangolamento in un combattimento a terra e non si accorse di aver stretto troppo fin quando Mary non sbarrò gli occhi a tal punto da far spavento. “Scusa Mary, non volevo farlo di proposito, mi devi perdonare sono un po’ nervoso stamattina.” “Me ne sono accorta” … … … … … … … … Un leggero tocco avvertì Louis alla porta della sua camera, andò ad aprire e vi trovò Mary che con aria triste entrò e richiuse la porta appoggiandosi ad essa. Guardò Louis che domandò: “Cosa c’è?” “Debbo parlarti.” “Di che cosa.” “Non lo so, debbo dirti molte cose però non ho il coraggio.” “Ma non capisco, di che si tratta?” “Bhe, volevo dirti che io…, bhe si io…, quella volta che venni ad aprirti, tu, mi guardasti in quel modo, allora io pensai che…, ma poi tu hai visto ieri che …, ho sempre pensato a quella atmosfera.” Louis rimase sconcertato da quella irruzione di Mary. Non sapeva cosa risponderle, non sapeva se era conveniente non illustrare le proprie intenzioni per il momento o era opportuno aprirsi, vinse la posizione prudente. “Ma perché mi fai questo discorso?” Domandò. Perché sei tornata indietro nel tempo, non hai già il tuo pollo, non vi volete bene, perché vieni proprio da me?” “Perché sembrava che…” “Forse ti sei sbagliata.” “Bhe, allora scusami tanto, he Louis, facciamo finta che non sia successo niente e restiamo amici come prima, O.K.?!” “Per me non fa nessuna differenza!” Come un tuono risuonò il rumore della porta chiusa da Mary, sembrava l’avessero chiuso dentro una gabbia, l’avessero escluso dal mondo dei vivi. Ma intanto lui pensava al perché Mary avesse agito in quel modo, forse, forse, …, ma poi pensò che era impossibile una cosa del genere. Intanto era già calato il sole, e le prime luci di Londra illuminavano le sue strade deserte a quell’ora. Pensò di riempirle con la sua presenza, così scese ed iniziò a vagare per le strade evitando quasi, lo sguardo dei pochi presenti che incrociava, ad un tratto rivide “la persona sospetta”, lo seguì e vide che abitava poco distante dall’abitazione di Mary. Ritornò sopra e senza nemmeno cenare andò a letto. La notte fu molto agitata, il letto sembrava quasi un campo di battaglia, si girava, rigirava. Pensava, dormiva e si svegliava. A volte si svegliava credendo di stringere tra le sue le mani di sua madre con tutte le forze, poi vedeva il padre dietro di lei e appoggiata alla porta osservava Marche parlava, parlava e lo osservava. Fiamme, fuoco e grida lo tormentarono per tutta la notte. La mattina seguente si svegliò con un forte dolor di testa, era ancora l’alba, ma non riusciva a dormire, così decise di alzarsi. Si affacciò alla finestra rincorrendo col pensiero il ricordo di Mary, pensava incessantemente al perché aveva agito in quel modo. In ogni caso pensò di invitarla a ballare per quella sera stessa. La giornata passò quasi senza che se ne accorgesse; erano quasi le 18.00 quando si trovarono dinanzi all’entrata del Night Club ed entrambi si guardarono quasi come per decidere se era il caso di entrare. Si capirono al volo e fu quasi istintivo il dietro front che entrambi fecero in un solo istante con una scelta di tempo perfetta che sembrava il frutto di duri allenamenti. Camminarono per lungo tempo senza accorgersi delle strade che percorrevano. Potevano aver fatto circa 10 km quando si trovarono in un parco. La luce dei lampioncini lo rendeva più accogliente e la leggera brezza che veniva da occidente rendeva l’aria e l’atmosfera più dolce. Si sedettero su di una panchina e Louis stava iniziando a parlare quando si parò davanti a loro un giovane, “il giovane sospetto”, che alla vista di Mary esclamò: “Non fare nessun movimento o sei spacciata!” Intanto Louis aveva ricevuto un duro colpo alla nuca, dalle spalle, che lo fece stramazzare a terra svenuto. … … … … … … … Si trovò in una capanna che un tempo aveva ospitato dei cavalli, un odore ancora pungente vagheggiava nell’aria. Provò ad alzarsi ma la testa gli pesava tanto che lo obbligò a restare lì disteso a terra per qualche minuto. Stava domandandosi il perché ed il come si trovasse lì, quando si aprì la porta e con aria stupita si affacciò un contadino panciuto che alla vista esclamò: “E tu da dove sbuchi fuori?!” Louis tentò di parlare alzandosi ma si sentiva ancora debole, forse era molto tempo che stava lì disteso, forse giorni. Con braccia robuste il contadino lo issò da terra, come un normalissimo sacco di patate e lo portò in una cucina rustica con molte pentole appese al muro, un caminetto al centro della parete di fronte all’entrata riscaldava la stanza. Lo adagiò sul tavolo da cucina e con un panno umido gli bagnò la fronte. Louis iniziò a svegliarsi. Pensava al padre, come era morto, per un colpo alla testa. Oramai il dolore stava quasi per diminuire, si mise a sedere sulla tavola e disse: “Adesso devo proprio andare via, devo ritornare a casa mi stanno aspettando, è molto che manco.” “Come ti chiami?” Domandò il contadino. “Mi chiamo Louis, Louis Fenton.” “Dove abiti?” “Abito in Piccadilly street dagli Shead, ma adesso debbo andare, lasciatemi andare, debbo portare un’importantissima notizia alla signora.” “Tu da qui non ti muovi se prima non mangi qualcosa!” “Jenni prepara qualcosa per questo giovanotto.” Dopo un po’ arrivò a tavola una fumante minestra che Louis mangiò volentieri, poi del cacio fatto in casa. “Grazie di tutto, ma adesso debbo proprio scappare, non mancherà occasione di rivederci, verrò al più presto a farvi visita, grazie ancora.” Arrivò subito alla casa degli Shead e appena la signora lo vide gli si aggrappò al collo, poi si contrasse tutta non vedendo Mary dietro di lui. “Dov’è Mary?” Con voce agitata chiese la signora. “Si calmi, si segga prima e poi ne parliamo con calma, non è successo niente.” “Cosa è successo, perché non è con te, sono tre giorni che vi aspetto, dov’è andata, parla??!!” “Ecco signora, stavamo…, quando…” E le lacrime della signora bagnarono il suo viso da poco truccato. Louis le si avvicinò e si sedette sul bracciolo della poltrona. “Su non faccia così, vedrà che la ritroveremo subito.” La signora continuava a piangere. “Non le accadrà niente; dobbiamo sperare che i rapinatori si facciano subito vivi.” Al che il telefono squillò: “Pronto?!” Una voce baritonale si sentì dall’altro capo della linea: “Mary sta in ottime mani, non avvertite la polizia e non le accadrà niente, altrimenti…” “Altrimenti cosa?” Domandò Louis. “Sabato a mezzanotte fatevi trovare presso la fontana di Beker street con un milione di sterline.” “Pronto ma chi parla?” Ma oramai era tutto inutile aveva già riattaccato. La signora guardava Louis con speranza: “Era lei?” “No signora, erano i rapinatori, hanno chiesto un riscatto di un milione di sterline.” Con strazio e con grida che raggiungevano il Signore, come per dirgli: “Perché, perché questo, perché deve esistere tanta malvagità nel mondo?!” “Signora si calmi, vedremo cosa fare, ho già un’idea.” All’ora fissata, Louis, nel giorno fissato, con il padre di Mary si trovarono nel luogo dell’appuntamento. Louis era pronto a tutto pur di salvarla, il padre guardava ansioso la strada sperando di veder comparire una macchina. Ad un tratto mentre i due erano adagiati al muro con la valigetta contenente il riscatto stretta sotto il braccio, apparirono davanti a loro due energumeni che con voce dura esclamarono: “I soldi?!” “Mary!” Esclamò Louis con apprensione. “La vedrete dopo la consegna dei soldi.” “Mi dispiace ma i soldi non li avrete se prima non ci consegnate la ragazza.” Passò qualche minuto in assoluto silenzio e Louis stava studiando la faccia dei due malviventi, rassomigliavano perfettamente al ragazzo di Mary ed a quello che era appoggiato al palo, “l’uomo sospetto”. E mentre stava rincorrendo questi pensieri un pugno gli arrivò in pieno viso. Preso alla sprovvista fece cadere la valigetta, ma no diede il tempo a nessuno dei due di chinarsi per raccoglierla perché riprese il suo normale equilibrio, li neutralizzò in poco tempo ricordando ancora qualche colpo di karatè. Intanto il padre di Mary si era volatilizzato. Forse per vigliaccheria o forse perché vi era qualcosa sotto. Si trovò così solo con quei due banditi, il posto più vicino di polizia si trovava a 10 km. Ebbe l’idea di telefonare dalla provvidenziale e vicina cabina telefonica che era ad un passo. Si sedette sul bordo del marciapiede osservando con pena quei due corpi lì distesi, e per che cosa, per un pugno di sterline, per poche sporche sterline hanno rischiato di venir uccisi. Arrivò la polizia e i due stavano iniziando a riprendere i sensi, li caricarono a bordo della macchina ed in pochi minuti erano al commissariato. Dopo aver risposto a tutte le domande del commissario, Louis fui quasi mandato via con queste parole: “Va bene tenteremo di trovare la ragazza.”
Louis accese per caso la radio: “E’ stata trovata morta una ragazza di circa 17 anni, senza documenti di riconoscimento, si presuma sia stata drogata e dopo averla violentata sia stata lasciata lì chiusa senza viveri per molto tempo, le indagini proseguono molto accuratamente ma si dispera di ritrovare i suoi assassini.” Gli occhi e le orecchie non riuscivano a staccarsi dalla radio, accesero anche la televisione con la speranza che facessero vedere il corpo della ragazza, ma dopo una vana attesa dovettero rassegnarsi ad aspettare, aspettare, aspettare qualcuno che forse non ritornerà mai più. Louis per tutta la giornata non riusciva a chiudere occhio, pensava a quella notizia. Forse era lei, forse è ancora viva. Pensava. Oramai erano già le 06.00 del mattino e si decise a rialzarsi, e riprendere con il cuore chiuso dalla morsa del dolore, la vita quotidiana. ”Purtroppo è così, caro Louis, bisogna sempre ricominciare, si, iniziare, iniziare una vita che ti toglie tutto, tutto il bene che in esso vi è. Amavi quella ragazza, per te era il pane per l’affamato, e te l’ hanno tolto. Hanno brutalmente strappato il fiorellino dal tuo giardino, il giardino del tuo cuore. Sanguina il tuo cuore adesso, perché è ferito. Bisogna armarsi di buona volontà per riprendere il cammino spinoso della vita. Louis non aspettare che gli altri ti diano una mano, hanno già i loro pensieri, loro.” Distrutto scese le scale cercando e sperando di dimenticare, sembrava di averla già vissuta quella scena nella sua vita. Le strade gli sembravano più squallide del solito, passanti frettolosi gli sfrecciavano intorno senza nemmeno sfiorarlo, alberi spogli. Da lontano scorse la sua villa, come allora, si fermò a guardarla, poi continuò la sua strada con un cappio alla gola. Camminò per molto tempo fin quando giunse ad un casotto, vi entrò e vi scorse a terra dei panni stracciati, si chinò per raccoglierne un pezzo. Sembrava di conoscerlo. Si guardò ancora intorno. Vide in un angolino, coperto in parte dalla paglia vi era un fogliettino sgualcito, la scrittura sembrava quella di una donna, lesse con attenzione il contenuto: “Caro mio amore, sto per lasciarti, mi sento molto male, sento che sto per morire, mi hanno fatto del male, abbi cura dei miei e soprattutto di te, non disperare se me ne vado, abbi fede, cerca, cerca, cer……”e poi finiva con una firma che non si riusciva a leggere. Lasciò scivolare il biglietto in tasca e riprese la sua triste e vana ispezione. Non vi trovò più niente di interessante e con aria di chi aveva fatto una battaglia contro la morte, si avviò fuori. Respirò a pieni polmoni sperando che l’aria del mattino potesse svegliarlo e distoglierlo da quel torpore continuo. Camminò per molto tempo tra l’erba ancora bagnata dalla brina mattutina quando ad un tratto da lontano vide la figura di una ragazza che correva nella sua direzione, non sapeva se gli andava incontro perché era inseguita o correva per gioco. Rassomigliava vagamente a Mary ma quando gli si avvicinò si rese conto che non era lei, ma solo una ragazza che correva così per gioco. Ritornò a casa intenzionato a lasciare per sempre quei luoghi, si ritirò come al solito nella sua camera, e come sempre pensava, pensava alla sua solitudine. Che cosa può essere la solitudine? Vivere in mezzo agli altri e rendersi conto di non aver nessuno con cui poter scambiare un po’ di affetto. È vivere sapendo che le avversità della vita la rendono vuota e senza significato. La mattina presto si alzò e preparò le valigie. Prese anche una fotografia, quella di Mary con la sua firma, la mise sotto una camicia e dopo aver salutato quei gentilissimi suoi amici, i genitori di Mary, si avviò per la sua strada. Non sapeva con precisione dove andare ma era certamente convinto di voler abbandonare quei luoghi che gli ricordavano troppe brutture. Andò alla stazione e comprò il primo biglietto del primo treno che partiva. Era per Milano, lesse poi dopo nel vagone del treno. Aveva comprato dei giornali prima di salire sul treno ed in prima pagina si leggeva: “Ancora oscuri i moventi dell’assassinio della sconosciuta diciassettenne trovata uccisa in un casolare abbandonato. Gli assassini sono introvabili.” Si leggeva ancora: “Si è suicidato un giovane di 20 anni perché era stato abbandonato dalla fidanzata.” … … … … … … … …
Arrivato a Milano si recò alla pensione di fronte alla stazione di Via Scarlatti, affittò una camera, molto piccola ma graziosa. Posò i bagagli e scese di nuovo per cercare stavolta un lavoro. “No, mi dispiace giovanotto, non abbiamo bisogno di gente inesperta.” “Ma io so …” “No mi interessa.” Furono le risposte che ebbe. Si sentiva un verme strisciante e rifiutato da tutti. Ma non si scoraggiò, continuò nel suo intento, fin quando non trovò un impiego presso l’officina di un meccanico, con sua grande sorpresa. Lavorava dalla mattina fino alle 4.00 del pomeriggio, dopodiché andava a casa per riposare fino al giorno dopo dove ripeteva la stessa storia. Passarono così i mesi, gli anni. Aveva conosciuto un gruppo di ragazzi, molto allegri ma dediti al furto ed alla droga. Aveva tentato anche lui a drogarsi, ma nauseato si era specializzato in furti d’auto. Passava così inutilmente il tempo. Aveva anche conosciuto una ragazza, Anna. Lei gli voleva bene, lui no, pensava sempre a Mary e alla fine che avrebbe potuto fare. Non riusciva a rassegnarsi che l’aveva persa, aveva sempre la speranza di ritrovarla, un giorno. “Su, dai, Louis non stare lì impalato, apri quella macchina e fila che sta venendo la polizia.” Era la voce del suo capo che lo incitava a rubare una macchina alle 3.00 della notte del Novembre del 1947; erano anni che ormai non parlava con qualcuno. Ma fu quella sera del 1947 che conobbe una ragazza, Rosa, che gli fece rinascere in corpo il desiderio di vivere, di ritornare a vivere. Vi era qualcosa in lei che gli dava speranza. Qualcosa di non facilmente definibile che lo colpì. Forse la sua riservatezza, il suo visino, il suo corpicino, la sua compostezza, che gli fecero cambiare vita. Iniziò di nuovo a ragionare ad essere lucido nelle sue cose. Usciva spesso con lei. Passavano tutta la giornata insieme. Anche lei non aveva genitori e veniva da molto lontano. Vivevano così insieme nella sua cameretta in Via Scarlatti in Milano. “Senti Rosa, esclamò Louis nel giorno dell’anniversario del loro incontro, ti voglio tanto bene, non lasciarmi mai, sto bene in tua compagnia, sembra che ti conosco da chi sa quanto tempo.” “Anch’io ti voglio molto bene, non ti lascerò mai, per niente al mondo.” Esclamò Rosy. “Non so come farò durante quelle due settimane che sarai a Londra.” “Non preoccuparti sono solo due, vedrai sono solo due, vedrai passeranno in fretta, non te ne accorgerai nemmeno.” La luna era alta nel cielo e le stelle adornavano d’argento quell’immensità dell’universo, sembrava che stessero splendendo tutte quella sera, su di loro, su quei due cuori uniti dalla dolce carezza dell’amore. La lieve luce e il loro calore li riscaldavano, lì su quella panchina del parco, umido, freddo e deserto. Il loro piccolo mondo era lì, su quella panchina e lì sarebbe rimasto, per sempre. Le luci dei lampioncini si spensero quasi per cacciarli, per mandarli via, si alzarono e mano nella mano si avviarono verso la loro tana in via Scarlatti. Entrarono e un dolce tepore accarezzò i loro volti gioiosi, pieni di voglia di vivere. Si guardarono per molto tempo prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo. … … … … … … … L’indomani si alzarono di buon ora e Rosa dopo aver preparato i bagagli si diresse verso la stazione. “Ciao, ti aspetterò.” Esclamò Louis, ed il suo viso fu bagnato da una lacrima che uscì dagli occhi lucidi. Guardò a lungo il treno che si allontanava, quel treno che lo avrebbe separato solo per poche settimane dal suo amore, dalla sua vita, ma non sapeva cosa aspettava lei dall’altra parte. Lentamente si avviò verso casa. Passava le ore intere in assoluta e triste solitudine. Il disordine che regnava nella sua stanzetta lo rendeva nervoso, ma non aveva né la forza né la volontà di mettere un po’ d’ordine nella sua vita. Passarono così le due settimane e si recò alla stazione per ricevere la sua amata. Ma, …, ma osservava con suo grande rammarico le persone che scendevano dal treno ma non vedeva Rosa. Aspettò il prossimo e ancora il prossimo e così tutta la settimana. Ogni giorno, ogni volta che bussavano alla sua porta il cuore gli palpitava sperando che fosse lei, ma una volta era la signora del latte, un’altra era quello di fronte ed ancora il pensionante di sopra, ma di Rosa nemmeno una cartolina. Passarono i mesi in un calvario di esistenza vuota senza alcun significato, senza uno scopo di vita. Per molte volte rivolse l’appello a Dio ma anche Lui rifiutò di aiutarlo. Diffidava ormai di tutti, forse anche si se stesso. Aveva perso ogni speranza di vivere, si era già rassegnato ad aspettare il giorno della sua morte. Pensò di ritornare in patria, ormai non vi era nessun scopo per restare in Italia, quella terra che gli aveva fatto sperare in qualcosa, in qualcuno, sperare nella vita, vivere di nuovo. Aveva preparato già le valigie, quando avvertì un leggero ma familiare tocco alla porta. Il cuore iniziò a galoppare a gran velocità e la mente a ripercorrere il passato, pensava a Londra e a …. Andò ad aprire la porta e vi trovò appoggiata, quasi gli cadde addosso una ragazza con gli abiti strappati ed il viso non curato per niente. Vagamente richiamava alla mente la figura, anzi l’angelica figura di Mary, ma non poteva essere lei, era passato troppo tempo. Con voce amichevole, quasi si conoscevano già e da tempo, lei disse: “Ciao, non ti ricordi di me?!” “No, non mi ricordo.” “ma come, sono Mary, Mary Shead, di Londra, non ti ricordi?!” Il fiato gli si strozzo in gola e a fatica tentò di dire qualcosa, come: “Ma co… come, tu…, tu stai qua, tu sei… riuscita a salvarti, ma … non può essere vero, forse sto sognando. No, non può essere vero. Dimmi che non è vero.” “Ma no, ti dico che io sono Mary e che tu non stai sognando.” Si sentiva che aveva sofferto molto, si sentiva stanca ed aveva bisogno di affetto, di calore umano. “Hai mangiato?” Le domandò Louis. “No, non tocco cibo da tre giorni, sono stata rinchiusa in un casotto ai sobborghi di Londra per qualche giorno, poi sono riuscita a rompere i legacci e sono andata via.” Si ferma un attimo, quasi stesse scacciando un brutto ricordo dalla mente.”Via, si via da quella città che mi rendeva triste con i suoi ricordi, lì avevo perso tutti e tutto, il calore umano, la benevolenza, l’amore i miei… si, i miei genitori.” “non dirmi che anche tu non hai i genitori e che sei stata raccolta da quei due?” La interruppe Louis. “Si Louis, anch’io sono orfana di entrambi i genitori, quei due mi hanno odiato sin dal primo giorno che mi hanno raccolto. Per questo cercavano di mandarmi con te, perché speravano che tu mi portassi via e soprattutto lontano da loro.” “Ma allora perché quei soldi del ricatto?” “Ma quali soldi, quelli non erano che fogli vuoti.” “E dimmi perché ti odiavano?” “Non te ne sei accorta sono una ebrea.” “Ma che differenza fa?” “Vallo a domandare a loro.” Ora Louis capiva il comportamento del padre, ehm, di Mary, quando si trovarono di fronte ai due banditi, era d’accordo con loro, ora capiva tutto, si proprio tutto. Vi era un’organizzazione di rapimenti con la famiglia Shead, la signora aspettava affacciata alla finestra della cucina i ragazzi che uscivano di collegio e li ospitava nelle sue camere, e poi, e poi…. Mary da come parlava faceva capire che non aveva afferrato bene la situazione finche termini stava e Louis preferì tacere per non metterla al corrente che era stata vittima di una macchinazione troppo meschina. “E poi cosa hai fatto per tutto questo tempo?” Domandò ancora Louis. “Me ne sono venuta a Milano e di qui non mi sono mossa nemmeno un po’. E fu circa un anno fa che ti vidi salire in questa pensione, volevo venire da te, ma tu eri insieme ad un’altra, allora ho preferito starmene al mio posto.” Mary stava guardando fuori dalla finestra con lo sguardo fisso nel vuoto, quasi come se quello che aveva detto fosse stato per lei una pugnalata la cuore. Restò così per un po’. A questo punto Louis voleva piangere, era molto tempo che non la vedeva, era partita per Londra circa due anni fa e non aveva avuto più sue notizie, ma gli occhi indagatori di Mary gli scrutavano il volto cercando di penetrare nel profondo del suo animo per cercare di capire il perché di quel cambiamento di umore, di stato d’animo, perché Louis aveva abbassato il capo e stava quasi per piangere. Il suo sguardo gli pesava come una montagna e con le sue dolci ma stanche mani lei gli sollevò il capo e gli disse: “Ma cos’ hai? Cosa ti è successo? Ti senti male, vuoi qualcosa?” Lei lo sapeva cosa lui volesse. “No, Mary, non è niente, solo che lei, quella ragazza, bhe io, le volevo bene ed è molto tempo che non la vedo, forse sarà morta!” “Non devi disperare Louis, nella vita le sorprese non finiscono mai, è probabile che anche per te vi sia conservato, in un angolo sperduto della terra un po’ di felicità.” Si fermò un attimo e poi continuò. “Forse ti è vicino e non te ne accorgi.” A lungo rimasero entrambi in un silenzio quasi mistico quando ad un tratto gli occhi di Mary si sbarrarono in uno sguardo agghiacciante, non guardava lui, e nemmeno la stanza, si perdeva nel vuoto. Impallidì ed il suo corpo si afflosciò sulla poltrona, il respiro si fece affannoso. Con un sentimento misto tra angoscia e paura per il suo stato fisico la prese e la adagiò sul lettino. La fissò a lungo mentre il sudore le bagnava la fronte, glielo asciugò con il suo fazzoletto e scese un attimo per telefonare ad un dottore. Si era addormentata quando arrivò il dottore che dopo averla visitata disse a Louis con voce sommessa: “Fatti coraggio ragazzo, continua per la tua strada e non farti fermare mai da nessuno, lei ormai non ha che due o tre giorni di vita, ha ingerito molti quantitativi di droga e la scarsa alimentazione l’ hanno buttata giù, è molto debole, non ce la farà.” Furono le ultime parole del dottore. “Oh, dottore!!!” E pianse a dirotto, per la prima volta nella sua vita. La felicità, si la felicità…, che cos’è? Esiste? E se esiste cosa bisogna fare per conquistarla? Esiste qualcosa che la fa conquistare e non perderla? O forse è un’invenzione della fantasia dell’uomo? Sentì un leggero lamento. Era Mary che chiamava: “Louis, mi sento male dammi da bere.” “subito.” Le portò il bicchiere colmo d’acqua e del suo amore.
“No Mary, non lasciarmi, anche tu, rispondimi.” La adagiò sul letto coprendola con il lenzuolo e dopo ever lasciato un biglietto: “QUI GIACE MARY, COLEI CHE PER PRIMA HO AMATA E CHE MAI PIÙ SCORDERÒ SULLA SUA TOMBA SCRIVERETE SOLO IL SUO NOME MARY” E se ne andò. Scese per le strade di Milano, si recò ad un’edicola e vi comprò un giornale. Lesse in prima pagina a caratteri cubitali: “Si continuano a cercare i parenti di una delle vittime della sciagura ferroviaria di circa due anni fa…, lei si chiamava Rosa.” A tal nome buttò per terra il giornale e un piede dopo l’altro andò avanti, avanti, continuò il suo cammino triste e sconfitto in avanti lasciando il passato alle spalle che ancora gli pesava, in avanti…, si in avanti……. Sempre avanti……….. |
Ultimo aggiornamento 15/12/2010